Frame - Simple Portfolio Post

Massimo Innocenti, settembre 2010

 

Per vedere non bisogna solo guardare, ma sentire e attraverso questa sensazione far scorrere l’incanto dello sguardo.
Non ha nessuna importanza, per me, sapere della vita di Giovanni Bigazzi, sono qui, di nuovo a raccogliere le sue emozioni, le sue “sconnesse” relazioni che intraprende nel saper vedere sentendo il richiamo del suo occhio.
Con affetto e puntuale convinzione, attratto dallo scandaglio emozionale di questo ultimo lavoro, sorpreso,e quasi convinto della certezza  e, se posso permettermi di condividere quello che diceva Proust a proposito della creazione artistica:“… i veri libri sono figli del silenzio e della notte. L’uomo che scrive, dipinge o compone, non è lo stesso uomo che cena in villa, conversa con gli amici, scrive loro delle lettere o li mette a parte delle proprie  confidenze.”
Mi sento di provare a pensare che questi lavori di Giovanni  sono una testimonianza del suo essere diverso, doppio, quasi una meteora pulsante che si dimena in un tempo che non cerca l’esatta concentrazione di un obbiettivo, ma si espande come un fluido magnetico verso l’inatteso.
Questi lavori vibrano, confondono l’idea e si riappropriano del reale senso dell’attimo, come se vivessero un eterno notturno, dove solo la luce del segreto, del nascosto lasciano sentire lo scintillare delle forme.

Giovanni Bigazzi sceglie l’acqua, le ombre, il sentiero capovolto del “diluvio universale”. Preferisce, Giovanni, l’attimo dopo, quel viaggio invisibile che appare alle spalle, accanto, come un’ ombra che accompagna il suo freddo riflesso. Fotografie diverse con tempi e luoghi lontani, quasi opposti, distratti, ma vicini, simultanei, come il chiaro e lo scuro, il colore e il suo opposto, ma semplici di essere l’emozione della comprensione, la metafora della contemplazione immediata.
In questi lavori che Giovanni unisce e che nello stesso momento rende distanti, ci porta nel possibile comprendere, nelle parole di una fiaba che, assolutamente, diventa musicale. La musicalità del fluttuare, ritmato ad esso immanente, emerge dal passato col presente, il viaggio e la sua antitesi, la sua memoria: tra-scorre il tempo prima dell’evento e, appena dopo, avviene.
Questi lavori fotografici sono come due racconti che si compongono in un solo evento, trattenendo un inizio.
Come tanti frammenti si dividono e si “perdono”in una propria realizzazione, ritrovando e ritrovandosi nello sguardo diretto della natura.

Ciò che Giovanni Bigazzi rappresenta con queste fotografie è come se rendesse un volto allo sguardo, una fisiognomica della natura sorpresa nell’istante della sua riflessione. Un movimento fluido ed evanescente che si dispone attraverso la sostanza, quella trascendenza di frammenti direttamente prelevati da immagini, tanto da cogliere la chiave di volta che lascia lo sguardo intenerirsi dall’arco dell’orizzonte, fino a raggiungere il solo riflesso come unica prospettiva.

Queste opere si fanno sentire nel silenzio e con il silenzio raggiungono un  lento percorso, un arrivo varcato dal leggero soffio di vento che spinge l’invalicabile verso la perdita del suo stesso limite. Fotografie tradotte con un linguaggio minuzioso, ma traboccante di percezioni e di impulsi emotivi, quasi distratti, ma subito ripresi dal frullo lento del vento.
Giovanni Bigazzi ama l’incanto della sua genuinità primitiva e da quella ritrae il suo stesso dilemma, la sua nevrosi creativa che lo accompagna tra i ricurvi viottoli dove l’attesa si accompagna alla sua ombra, quella notte luminosa che splende il lume accecante di un lieve battito di ciglia.
Fluida come l’acqua, l’occasione diventa sospensione, aria, tremolio di un’attesa e a quel punto un sospiro ferma per sempre l’emozione.
Queste fotografie di Giovanni arrivano per partire, spinte dal soffio che tra poco sarà lì.